C’è un momento.
In cui pensi (o forse temi) che la lontananza fisica possa essersi trasformata in estraneità emotiva.
Che per un’ora e mezzo forse non vale la pena no.
Telefonare, organizzare, scappare, correre, prendere, lasciare, correre di nuovo, traffico, parcheggio.
Poi c’è il momento dell’incontro.
Quando vedi la massa di capelli indomiti all’angolo della strada, la mia stessa massa, solo un po’ più in alto.
Quando ci corriamo incontro, ci abbracciamo e ci tuffiamo nel primo bar ché tanto non importa dove, basta esserci.
Quando, davanti a due spritz, riusciamo a raccontarci l’essenziale e anche a cazzeggiare un po’.
Allora capisci che quell’ora e mezzo che sembrava piccola, misera, inutile, insoddisfacente e non esaustiva, ha invece il peso di una vita intera.
E per tutte le cose che ci perdiamo: la quotidianeità, il supporto giornaliero, due figli estranei, una routine, c’è d’altro canto una densità di istanti che misura il valore dell’ amicizia.