Friends will be friends

C’è un momento.

In cui pensi (o forse temi) che la lontananza fisica possa essersi trasformata in estraneità emotiva.

Che per un’ora e mezzo forse non vale la pena no.

Telefonare, organizzare, scappare, correre, prendere, lasciare, correre di nuovo, traffico, parcheggio.

Poi c’è il momento dell’incontro.

Quando vedi la massa di capelli indomiti all’angolo della strada, la mia stessa massa, solo un po’ più in alto.

Quando ci corriamo incontro, ci abbracciamo e ci tuffiamo nel primo bar ché tanto non importa dove, basta esserci.

Quando, davanti a due spritz, riusciamo a raccontarci l’essenziale e anche a cazzeggiare un po’.

Allora capisci che quell’ora e mezzo che sembrava piccola, misera, inutile, insoddisfacente e non esaustiva, ha invece il peso di una vita intera.

E per tutte le cose che ci perdiamo: la quotidianeità, il supporto giornaliero, due figli estranei, una routine, c’è d’altro canto una densità di istanti che misura il valore dell’ amicizia.

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La matematica E’ una opinione

Dal punto di vista matematico 2 è un sottoinsieme di 3.

E non fa una piega.

Da un punto di vista emotivo però non è propriamente corretto.

Il 2 può essere anche una entità separata dal 3.

E in un insieme composto da tre 1, l’interazione a 2 è data da più combinazioni.

E come è importante coltivare il 3, così lo è anche per ciascun 2.

Perché lo scambio emozionale dei singoli 2 arricchisce ed alimenta il 3.

Empatie

Nel mio ufficio c’è una signora piuttosto esuberante e ridanciana.

Ha un figlio di 24 – 25 anni.

Nemmeno un anno fa il ragazzo si ammala.

Verdetto infausto.

Oggi lo addormentano perchè non ce la fa più.

Credo che oggi sia l’ultima occasione per la mamma di parlargli, interagire, di ascoltare la sua voce, o quel che ne rimane.

Per amarlo avrà tutta la vita che le resta, se sopravviverà.

Se per un istante rifletto sulla drammaticità del momento non reggo il dolore.

Ed è un dolore che posso immaginare da 3 anni.

Prima no.

Prima mi sembrava che la perdita di un compagno fosse la cosa più grave che potesse accadere.

Prima ancora c’era la perdita della mamma.

Viviamo di successori emotivi, di sostituti di catalizzatori di emozioni.

E l’empatia pura non esiste.

L’empatia è solo apotropaica.

Pulizie di Natale

Ho buttato via tutto.

I bigliettini delle amiche del liceo, sparite.

Quelli dell’unica amicizia rimasta che non ha bisogno dei bigliettini per alimentarsi.

Le cartoline da posti che sognavo di visitare e che adesso mi sembrano troppo vicini.

Le lettere delle pen pal giapponesi scritte con quella calligrafia identica su carta da lettere oleata.

Le lettere della pen pal inglese che mi ha mandato una foto seduta sul WC.

Le lettere di mia cugina, scritte a caratteri cubitali, quelle della amica conosciuta in montagna, di quella del mare, del lago, di campagna. Di quella di città che però vedevo solo al mare.

Le lettere degli innamorati, di quelli che ho amato di amori giurati eterni e durati qualche giorno di Settembre. Le lettere sgrammaticate. Le lettere insulse di chi non corrispondeva la mia cotta. Quelle poetiche di amanti molto più grandi di me. Di adulti con cui mi sono permessa di fare la ragazzina, quale effettivamente ero, facendoli sparire per sempre dalla mia vita. Per poi piangerli, disperatamente, per un giorno o forse due. Di sentimenti trattenuti e passioni manifeste. Una fila di “ti amerò per sempre”, “mi manchi”, “non vedo l’ora di sentirti, toccarti baciarti ecc ecc”. Promesse ed intenzioni ridicole che allora nutrivano lacrime e sorrisi. Prospettive future e nostalgici ricordi.

Di molti non ricordo nemmeno il volto.

Di alcuni mi è rimasto impresso solo l’odore.

Addio a tutti.

Addio per sempre.

E non ha importanza ricordare, trattenere, conservare, archiviare.

Qualcosa di sicuro è rimasto.

In quello che sono adesso.

Come una sommatoria, per n che va da 0 a chissà quanto, di frammenti di tempo e di vita.

Il risultato sono io in questo istante.

E domani sarò di nuovo io più un pezzettino infinitesimo che si è formato in 24 ore di esistenza.

Non credevo

 

“N. cosa ci fai seduto sulla faccia di babbo?”

Risponde: “Coccoccoccocooooo….”

Si alza.

Indica la faccia paonazza del babbo.

“Guarda?! Ho fatto l’uovo!”

 

“Allora N. Scriviamo la letterina a babbo Natale?”

“Sì!”

Allora inizio: “Caro Babbo Natale, quest’anno sono stato abbastanza bravo e quindi come regalo vorrei…”

“Una MOTOSEGA”

Prima di avere figli pensavo che i genitori che si divertivano con i propri dueenni-treenni fossero pazzi.

Mi ricredo.

Almeno, con il mio mi diverto.

Con gli altri dipende.

 

 

Il pirata e l’angioletto

In fondo alla spiaggia di Stegna, subito prima del molo c’è una taverna.
Un albero generoso dispensa la sua ombra sulla terrazza.
Seduto sotto le fronde c’è un uomo scalzo e con la barba lunga.
Con il suo pappagallo parla una lingua antica, dal suono dolce.
Di giorno pulisce le verdure.
Di notte pesca.
In un tempo sospeso solca i 7 mari con la sua nave fantasma.
Seduto ad un tavolino c’è un bambino dai riccioli biondi e la pelle abbronzata.
Il suo aperitivo è un succo di mela che beve a tratti tra una corsa e l’altra.
I suoi occhi blu devono vedere e le sue manine devono toccare.
Il mare, le barche, il gatto, l’albero, il pappagallo, i rami, le sedie, le foglie, i vasi, i fiori, il bicchiere, la cannuccia e poi si ricomincia.
Gli occhi neri incontrano quelli blu.
E si sorridono.
La barba scura oscilla al vento allo stesso ritmo dei riccioli biondi.
E i due si intendono.
Gli occhi neri si addolciscono e mostrano ai riccioli biondi il pappagallo addomesticato.
Perché uccellino?
Perché colorato?
Perché in gabbia?
Perché non vola via?
Perché, perché, perché…

Il meltemi disperde le risposte.
Il pirata e l’angioletto si salutano.
La notte, nel mare piatto, il pirata sorride pensando all’angioletto.
Nel suo letto, l’angioletto, sogna di solcare mari in tempesta con il pirata.

Nostalgia canaglia

Riguardo le foto di un anno fa o due e non ti riconosco più.

Sei stato un neonato arrabbiato e poi un bambolotto gioioso.

E, nonostante siano passati solo due anni, non sei più tu in quelle fotografie.

Hai ancora gli occhi blu spalancati sul mondo, quando piangi hai esattamente la stessa espressione, la stessa forza quando ti arrabbi, ma nel frattempo hai imparato a mangiare da solo, a parlare, a camminare, a correre, a simulare, a creare, a inventare, a relazionarti con gli altri bambini, a baciare, a conoscere, a lusingare, a divertire.

Sento il bisogno di afferrare questo tempo bastardo e magnifico e l’unica cosa che posso fare è scrivere per trattenere le emozioni perché neanche quelle riconosco più.

Razionalmente ricordo la stanchezza e la frustrazione delle notti insonni, il desiderio di solitudine, la necessità di allontanarmi, ma quello che è rimasto in pancia è solo un infinito senso di dolcezza e di appartenenza reciproca.

Mi perdo nella tua perfezione e allo stesso tempo mi angoscio al pensiero che ti possa succedere qualcosa, nella consapevolezza che non è umanamente possibile preservarti da tutto.

Tutto questo mi provoca una nostalgia che non ha soluzione perché un altro figlio non sarebbe te, riporterebbe stanchezza e frustrazioni e poi, di nuovo, nostalgia, in un circolo senza soluzione.

Non resta che conservare le emozioni, magari scrivendo ogni virgola di te, ogni sfumatura che nella foga quotidiana non ha importanza, ma che poi, quando inizia a sfuggire diventa fondamentale ricordare e immortalare.

Infine non resta che prendere atto che più il tempo passa, più del mondo e un po’ meno mio diventi.

Due anni

Da pochi giorni hai fatto due anni e il senso di responsabilità dell’essere genitore si fa sempre più forte.

Come funambuli in bilico tra educazione ed amore ci barcameniamo tra regole e trasgressioni nel costante dilemma se un tuo pianto è un capriccio o l’espressione di una necessità, se rispondere con un rimprovero o un abbraccio.

Ogni giorno ti guidiamo verso l’indipendenza, lasciandoti libero di sperimentare ma sempre pronti a raccoglierti in caso di reale pericolo.

Ogni pasto è una lotta per il rispetto delle regole sociali per poi sbracare quando siamo tutti troppo stanchi o troppo allegri per le rigide convenzioni.

E in questa altalena tra bon ton e un po’ (poca) di sana inciviltà quello che cerchiamo di darti sempre e comunque è tutto l’amore di cui siamo capaci.

Ché poi l’obiettivo è quello: tirare fuori da quel bambolotto paffuto che sei, un uomo sereno ed equilibrato.

Senza bisogno di troppe parole, questo sarebbe il riscontro perfetto dell’arte maieutica che è, in fondo, l’essere genitori.

Non ho parole…

Leggo questo articolo:

http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/13/foto/ecco_cosa_succede_a_una_dottoressa_incinta_e_con_figlia_al_seguito_al_lavoro_la_foto_spopola-147674566/1/?ref=HRESS-21#1

 

Forse una baby sitter se la può anche permettere.

Ma capisco che faccia più figo postare la foto sui social.

Forse qualche rimorso di coscienza per non passare abbastanza tempo con la bambina?

 

Estate

E’ tutta tua questa estate.

Che ti vede correre all’improvviso, parlare abbastanza per farti capire.

E due mesi fa gattonavi e basta e dicevi solo un mamma stentato.

E’ tutta tua questa estate.

Con il tuo primo viaggio on the road, la scoperta della sabbia, del mare e del sole che finalmente sfidi negli occhi.

E’ tutta nostra questa estate.

Perché la scorsa è stata confusa, faticosa, calda, soffocante e tu eri ancora un estraneo con cui iniziavo ad interagire.

E questa invece…

Quel blob confuso che eravamo sta acquisendo una forma.

Tu stai diventando una persona, con i tuoi momenti di dolcezza, di altruismo e di rabbia.

E mi piace quello che vedo.

Mi piace questa nuova squadra che è il nostro trio.

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….Sono stupendi i trent’anni... Sono stupendi perchè sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l’angoscia dell’attesa, non è cominciata la malinconia del declino, perchè siamo lucidi, finalmente, a trant’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti; se siamo atei siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perchè anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perchè abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perchè abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perchè abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se c’incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita.é viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e avanti e meditare sulla nostra fortuna… O. Fallaci

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