Apuane

Non rocce imponenti vi preannunciano, ma pianure coltivate, spesso allagate e punteggiate da paesi trasandati.

Alle vostre pendici tristi e disordinati villaggi guardano al mare invidiosi del frastuono che arriva a loro solo come eco lontana.

Martoriate da grandi scultori e inabili scalpellini, guardate ad un orizzonte troppo vicino e là sotto, con il caldo, la vita si consuma, mentre voi restate lì osservatrici attente ma trascurate.

Ed anche se al tramonto vi tingete di rosa come le vostre sorelle, nessuna pace mi potrete dare.

Perché dalle vostre vette si vede il mare.

Sui vostri sentieri si respira il salmastro.

E mai avete accolto la mia infanzia donandomi quella sensazione di casa che non provavo altrove.

Di te

Di te ho alcuni ricordi netti.

I capelli rasati da una parte perché eri arrivato lungo mentre ti facevi la barba.

Seduto a gambe incrociate  sulla cattedra con un sorriso beffardo.

Era il tuo modo di essere irriverente.

Forse di far sapere che c’eri, che esistevi e che non ti volevi conformare.

Era il tuo modo di contestare.

Probabilmente ti sentivi invisibile ma non ti rendevi conto che aura emanavi.

Con la tua intelligenza e la tua sensabilità.

Connubio stimolante.

Connubio letale.

Se la morte prende a 36 anni si prova rabbia ed un senso di profonda ingiustizia.

Se la morte si sceglie a 36 anni non ci sono parole per descrivere l’abisso.

Percorsi

Una notizia.

Nessun pensiero, nessuna emozione.

Solo una domanda: che devo fare?

E poi dopo realizzi.

Una settimana di lacrime, di vuoto, di dolore.

E anche di tanto amore.

Di rivelazioni.

Di conferme nel bene e nel male.

Niente sensi di colpa, quelli no.

Ché quando si è convinti di un percorso logico che porta ad una scelta i sensi di colpa non hanno motivo di esistere.

Il dolore acuto e localizzato cede poi il passo ad un senso diffuso di tristezza.

Alla frustrazione del poteva essere e non è.

La tristezza diventa un tenero ricordo.

E poi un giorno ti ritrovi a sorridere.

A canticchiare.

E poi a ridere di gusto.

E a cantare.

E ti torna anche la voglia di ballare.

Allora vuol dire che siamo guariti.

Che poi alla fine si tratta di lasciar andare un’immagine, una proiezione nel futuro che, per quanto perfetta non può essere mai incisiva come la realtà.

E siamo pronti, per nuovi progetti e nuove proiezioni.

E magari, questa volta, anche per la realtà.

A te, ciclista

A te ciclista…
Che hai urlato all’ambulanza “Spengi quell’affare” riferendoti alla sirena.
Come se la strada fosse tua.
Come se il silenzio ti fosse dovuto.
Come se la tua divisa rappresentasse l’appartenenza ad una élite.
Come se questa appartenenza esigesse rispetto.
Lo stesso rispetto che però tu non hai verso il resto del mondo.
Ecco.
Proprio a te dedico invece tutto il mio disprezzo.
Proprio a te porgo di cuore il mio più sincero augurio di trovarti un giorno su una ambulanza.
Urlante e madido di dolore.
Un dolore così forte che rischia di portarti all’infarto.
Un dolore che ti prende il cervello e ti impedisce di ragionare.
Di pronunciare il tuo nome.
Di ricordarti quando sei nato.
Un dolore così penetrante che ogni piccola imperfezione della strada ti fa delirare.
Spero davvero tanto che ti possa capitare.
E spero tanto di essere lì quando succederà.
Di poterti guardare anche solo per un istante e vedere nei tuoi occhi il terrore prendere il posto dell’arroganza.

“Che schifo i fiori rotti” M.

La tristezza per lasciare casa completamente vuota.
Lo smarrimento nel sentire le voci che rimbombano nelle stanze grandi.
La stanchezza di tutto lo sforzo fisico.
Lo stupore per scoprirsi così attaccata alle cose.
Capire che quelle cose assistono e custodiscono la tua vita.
E quindi, in ultima analisi, non stupirsi di essere attaccata alla tua vita.

La birra ghiacciata al tramonto, sulla panchina davanti al portone di casa.
Nella corte con i muretti scortecciati confusi con piante arruffate.
Gatti in attesa di una mano amica che non si capacitano delle mancate carezze.
Gatti che non possono sapere che per alcuni umani possono essere letali.
Cani scoordinati per la gioventù e cani sordi per la vecchiaia.
Fiori che hanno visto giorni migliori.
Un abete in vaso spogliato dei suoi decori natalizi.
E M., il bambino più logorroico del mondo, che a gran voce proclama:
“Che schifo i fiori rotti”
Nuovi spettatori e nuovi custodi di quella che in fin dei conti continuerà ad essere la tua vita.

Meteopsicosi

Adoro l’inverno.
La coperta sul divano, i calzettoni pesanti, il piumino sul letto.
Il freddo, la pioggia, la neve che raramente lambisce Firenze.
Adoro il cielo grigio, le nuvole gonfie, il temporale la pioggia battente.
Le pozze grigie colme di acqua, gli stivali, le calze pesanti i maglioni di lana.
Ma ora basta.
Grazie.
E’ troppo anche per me.

Senza titolo

Non ricordo il giorno in cui è successo.

Forse è stato quando ho capito di non stimarti.

Quando, di conseguenza, ho deciso di sostituire alle discussioni la menzogna.

DI assentire a parole e di smentire nei fatti.

O forse quando ho smesso di temerti.

Quando il tuo umore non incideva più sul mio e anche sotto il temporale il mio sole splendeva esuberante e sfrontato.

Quando ho sentito di non doverti niente.

E ho capito che tutto quello che mi avevi dato era dovuto perché si trattava solo di sostentamento materiale.

Oppure quando hai perso la capacità di ferirrmi.

Quando la mia autostima ha smesso di pendere dalle tue labbra e si è affrancata da ogni tuo giudizio.

Quando, per una mia scelta da te osteggiata ti ho vomitato addosso tutto quello che non avevo mai osato in 30 anni.

E hai taciuto.

In quel momento io ti ho sepolto.

Stasera

E con questo profumo di gelsomino.

E le rondini in controluce.

Come si fa?

A fare. A non fare. A resistere, a partire. A restare.

Una notte inquieta ci attende.

Stelle danzanti

Se ne va.

O forse no.

Anzi sì e viene quello misogino.

Anzi no, non viene.

O forse sì.

Magari non se ne va .

E se se ne va non si sa chi viene.

E noi siamo come alghe che si muovono con la corrente.

Un pò rasserenati dalle smentite, un pò terrorizzati dall’aria di rivoluzione.

Di certo in sospeso, in attesa che ci venga illuminato il nostro futuro attendiamo solo una decisione definitiva.

Chi perpetrando la propria devozione ché è sempre bene farsi vedere.

Chi sognando momenti di gloria dopo giorni di lavoro intenso.

Chi tramando tele per tornare al proprio paesello.

E poi ci sono io.

Mi si legge negli occhi l’irriverenza di chi, se pur apprezzando il lavoro e mettendoci l’anima, è consapevole che oltre quel cancello ci siano cose assai più importanti di tutto quello che è invece al di qua.

Ed è questa sfrontatezza che non va giù.

Troppo libera per essere devota. Per niente fannullona per essere cacciata.

In questo caos riesco comunque a godermi la primavera che annuncia il suo imminente arrivo.

Perché una certezza ce l’ho.

Non mi avranno.

Lucio Dalla

I pomeriggi più dolci della mia infanzia, quelli che provocano in me i ricordi più struggenti hanno avuto come colonna sonora 3 LP, uno di Toquinho, uno di Bellafonte ed il terzo, quello di Lucio Dalla.
La mia mamma stirava e noi ascoltavamo la musica. Lei, con il ferro in mano, muoveva piccoli passi in un gesto timido che mascherava una gioia di vivere soffocata e poi spentasi negli anni. Ed io la imitavo, scalmanata e scoordinata, saltando sui letti dei miei fratelli.
E mi ricordo 4 Marzo 1943 dove parlava di questo Gesù bambino che era cresciuto ed era diventato uomo. Ed io adoravo questa sua immagine di persona godereccia così distante da quella che mi insegnavano a catechismo.
E poi c’era piazza grande. Ed io immaginavo una piazza tonda con gli alberi e le panchine. Ed invidiavo la sua libertà, la coperta di stella, la sua famiglia allargata e quel gesto così generoso di dare i propri sogni a chi non li aveva.
Ero molto piccola ma conoscevo tutte le canzoni a memoria. Tutte eccetto una.
Quella che mia mamma non mi faceva ascoltare, quella che, appena iniziava, si affrettava a spostare la puntina del giradischi alla traccia successiva. Ed io non capivo proprio il motivo di questa censura.
Da grande poi ho ascoltato “Disperato Erotico Stomp” ed ho capito.
Ho capito che mia mamma non voleva domande e ho capito anche la poesia di tutte quelle canzoni che io avevo percepito come favole.

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….Sono stupendi i trent’anni... Sono stupendi perchè sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l’angoscia dell’attesa, non è cominciata la malinconia del declino, perchè siamo lucidi, finalmente, a trant’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti; se siamo atei siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perchè anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perchè abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perchè abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perchè abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se c’incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita.é viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e avanti e meditare sulla nostra fortuna… O. Fallaci

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