L’uomo che verrà


Martina è una bambina che ha scelto di non parlare dopo la morte del fratellino neonato.
Martina non ha più parole, perché ogni parola sarebbe superflua, perché a parole non può esprimere il suo dolore. La verità è il silenzio e solo il silenzio può accompagnarla nel momento storico che travolge la sua famiglia.
Una famiglia di contadini che vive alle pendici del Monte Sole negli anni della seconda guerra mondiale. Una famiglia che oppone una resistenza passiva all’orrore ostinandosi a vivere in modo normale, lavorando la terra, mungendo le mucche, intrecciando canestri mentre i vecchi raccontano storie. Le storie di vita quotidiana diventano poi storie di guerra, le storie dei ragazzi che sono andati via di casa per unirsi ai partigiani e che nottetempo ritornano. Le storie poi si concretizzano con il cadavere di uno di loro, con i tedeschi che vengono a trovare la famiglia con la scusa di comprare uova e vino, con gli uomini che devono rifugiarsi nei boschi perché considerati disertori.
Il tutto in un excursus di tensione che culmina in una strage da cui si salvano solo Martina e il fratellino appena arrivato. Solo allora Martina ricomincia a parlare, cantando la ninna nanna al bambino. Perché, anche se non può raccontare quello che ha visto, può dare pace e speranza all’uomo che verrà.
La guerra raccontata tramite tutto ciò che non è stato guerra, ma dalla guerra è stato travolto suo malgrado. Una famiglia che vuole solo vivere, un padre di famiglia che lotta e scappa fino in fondo per poi arrendersi buttandosi tra le braccia dei tedeschi quando capisce che tutti gli affetti non ci sono più.
Perché la vita non è un valore intrinseco, ma ad essa viene dato spessore dal mondo che ognuno si è costruito.

Rivelazioni


Una sera per caso ho appoggiato le mani sulla tastiera di un pianoforte.
Ed è nato un amore.
Il mio compagno dice che sono particolarmente dotata, ma l’amore si sa, rende poco oggettivi.
Allora, prima di trarre qualunque conclusione, ho atteso con ansia il parere di mio fratello, giudice impietoso, ma soprattutto musicista di mestiere. La tensione dell’attesa era tale che il momento dell’esibizione è stato un vero flop. Mi sono emozionata come una bambina, mi tremavano le mani, ma insomma, qualcosa è venuto fuori.
E lui, che tutte le volte che canto implora pietà, lui che maltratta i suoi allievi, lui che non ha filtri tra cervello e bocca, insomma mio fratello ha sentenziato: “Dovevi fare la musicista anche te”.
Eccoci.
Non è bello sentirselo dire a quasi 34 anni, ma forse un piccolo talento l’ho scovato anche io.
Onestamente non credo che mi sarebbe piaciuto fare questo mestiere, ma in ogni caso posso coltivare questa passione ancora fanciulla studiando e soprattutto divertendomi.
Allora oggi scartabellando tra i libri di musica del mio compagno, ho trovato un testo di teoria e armonizzazione.
Ed ecco la rivelazione.
La musica è pura logica, semplice matematica. Ogni legame tra le note può essere ricondotto a un numero, una formula o una ricorrenza.
Di conseguenza la musica è meravigliosa, ancora di più della matematica.
Perché la matematica è muta.
La musica suona.

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….Sono stupendi i trent’anni... Sono stupendi perchè sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l’angoscia dell’attesa, non è cominciata la malinconia del declino, perchè siamo lucidi, finalmente, a trant’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti; se siamo atei siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perchè anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perchè abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perchè abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perchè abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se c’incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita.é viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e avanti e meditare sulla nostra fortuna… O. Fallaci

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